Giovanni Falcone, una vita spesa per amore
di MICHELE CAGNAZZO
Riceviamo e pubblichiamo:
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Questo governo non ha nessun titolo per celebrare o per ricordare Giovanni Falcone. Un governo nel quale vi è stato un sottosegretario che difendeva i boss mafiosi come Carlo Taormina, o un ministro che ha detto "bisogna abituarsi a convivere con la mafia", come Pietro Lunardi. Non dico neanche che Giovanni Falcone può celebrarlo la sinistra, ma certamente questo governo no. Nel 17° anniversario della strage di Capaci riporto l'ultimo discorso integrale di Paolo Borsellino, nella veglia del 23 giugno 1992, del quale non tutti ne hanno fatto memoria.
"Giovanni Falcone lavorava con perfetta coscienza che la forza del male, la mafia, lo avrebbe un giorno ucciso. Francesca Morvillo stava accanto al suo uomo con perfetta coscienza che avrebbe condiviso la sua sorte. Gli uomini della scorta proteggevano Falcone con perfetta coscienza che sarebbero stati partecipi della sua sorte. Non poteva ignorare, e non ignorava, Giovanni Falcone l'estremo pericolo che egli correva perchè troppe vite di suoi compagni di lavoro e di suoi amici sono state troncate sullo stesso percorso che egli si imponeva. Perchè non è fuggito, perchè ha accettato questa tremenda situazione, perchè mai si è turbato, perchè è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? Per amore! La sua vita è stata un atto di amore verso questa sua città, verso questa terra che lo ha generato, che tanto non gli piaceva. Perchè se l'amore è soprattutto ed essenzialmente dare, per lui, e per coloro che gli siamo stati accanto in questa meravigliosa avventura, amore verso Palermo e la sua gente ha avuto ed ha il significato di dare a questa terra qualcosa, tutto ciò che era ed è possibile dare delle nostre forze morali, intellettuali e professionali per rendere miglior e questa città e la Patria cui essa appartiene. Qui Falcone cominciò a lavorare in modo nuovo. E non solo nelle tecniche di indagine. Ma anche consapevole che il lavoro dei magistrati e degli inquirenti doveva entrare nella stessa lunghezza d'onda del sentire di ognuno. La lotta alla mafia (primo problema morale da risolvere nella nostra terra, bellissima e disgraziata) non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale, anche religioso, che coinvolgesse tutti, che tutti abituasse a sentire la bellezza del fresco profumo di libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, della indifferenza, della contiguità e, quindi, della complicità. Ricordo la felicità di Falcone, quando in un breve periodo di entusiasmo conseguente ai dirrompenti successi originati dalle dichiarazioni di Buscetta, egli mi disse: "la gente fa il tifo per noi". E con ciò non intendeva riferirsi soltanto al conforto che l'appoggio morale della popolazione dà al lavoro del giudice. Significava soprattutto che il nostro lavoro, il suo lavoro stava anche smuovendo le coscienze, rompendo i sentimenti di accettazione della convivenza con la mafia, che costituiscono la vera forza di essa. Questa stagione del "tifo per noi" sembrò durare poco perchè ben presto sopravvennero il fastidio e l'insofferenza al prezzo che la lotta alla mafia, alla lotta al male, doveva essere pagato dalla cittadinanza. Insofferenza alle scorte, insofferenza alle sirene, insofferenza alle indagini, insofferenza ad una lotta d'amore che costava però a ciascuno, non certo i terribili sacrifici di Falcone, ma la rinuncia ai tanti piccoli o grossi vantaggi, a tante piccole o grandi comode abitudini, a tante minime o consistenti situazioni fondate sull'indifferenza, sull'omertà o sulla complicità. Insofferenza che finì per invocare ed ottenere, purtroppo, provvedime nti legislativi che, fondati su una ubriacatura di garantismo, ostacolarono gravemente la repressione di Cosa Nostra e fornirono un alibi a chi, dolosamente o colposamente, di lotta alla mafia non ha mai voluto occuparsene. In questa situazione Falcone andò via da Palermo. Non fuggì. Cerco di ricreare altrove, da più vasta prospettiva, le ottimali condizioni del suo lavoro. Per poter continuare a "dare". Per poter continuare ad "amare". Venne accusato di essersi troppo avvicinato al potere politico. Menzogna!! Qualche mese di lavoro in un Ministero non può far dimenticare il suo lavoro di dieci anni. E come lo fece! Lavoro incensantemente per rientrare in magistratura. Per fare il magistrato, indipendente come sempre lo era stato, mentre si parlava male di lui, con vergogna di quelli che hanno malignato sulla sua buona condotta. Muore e tutti si accorgono quali dimensioni ha questa perdita. Anche coloro che per averlo denoigrato, ostacolato, talora odi ato e perseguitato, hanno perso il diritto di parlare!! Nessuno tuttavia ha perso il diritto, anzi il dovere sacrosanto, di continuare questa lotta. Se egli è morto nella carne ma è vivo nello spirito, come la fede ci insegna, le nostre coscienze se non si sono svegliate debbono svegliarsi. La speranza è stata vivificata dal suo sacrificio. Dal sacrificio della sua donna. Dal sacrificio della sua scorta. Molti cittadini, ed è la prima volta, collaborano con la giustizia. Il potere politico trova il coraggio di ammettere i suoi sbagli e cerca di correggerli, almeno in parte, restituendo ai magistrati gli strumenti loro tolti con stupide scuse accademiche. Occorre evitare che si ritorni di nuovo indietro. Occorre dare un senso alla morte di Giovanni, della dolcissima Francesca, dei valorosi uomini della scorta. Sono morti tutti per noi, per gli ingiusti, abbiamo un grande debito verso di loro e dobbiamo pagarlo gioiosamente, continuando la loro opera. Face ndo il nostro dovere; rispettando le leggi anche quelle che ci impongono sacrifici; rifiutando di trarre dal sistema mafioso anche i benefici che possiamo trarne (anche gli aiuti, le raccomandazioni, i posti di lavoro); collaborando con la giustizia; testimoniando i valori in cui crediamo, in cui dobbiamo credere, anche dentro le aule di giustizia. Troncando immediatamente ogni legame di interesse, anche quelli che ci sembrano innocui, con qualsiasi persona portatrice di interessi mafiosi, grossi o piccoli; accettando in pieno questa gravosa e bellissima eredità di spirito; dimostrando a noi stessi ed al mondo che Falcone è vivo"
Riflettere sulla figura di Giovanni Falcone è innanzitutto un'occasione per ripensare a quello che la politica dovrebbe essere e non è. Passione, Dedizione, Servizio: sono queste le caratteristiche del modo di concepire e vivere l'impegno politico. Oggi tutto questo manca, siamo di fronte ad un mondo politico che punta più sull'immagine che sulla sostanza, più sulle strategie mediatiche che sul lavoro quotidiano.
MICHELE CAGNAZZO Responsabile "Osservatorio Regionale sulla Legalità" IDV Dipartimento Antimafia-Sicurezza-Prevenzione |
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28/05/2009 |
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