Chi ha avuto modo di seguire il secondo appuntamento della rassegna letteraria “Antipresentazioni – I loro libri, le tue opinioni” – tenutosi giovedì 23 febbraio scorso nell’atrio di Palazzo Pontrelli e organizzato dalle Associazioni Metropolis e Puglialibre, col patrocinio del Comune di Triggiano - ha anzitutto beneficiato di una piacevole lezione di teatro. Protagonista indiscusso della serata è stato Renato Curci, attore, comico, regista ed autore del libro “Teatro di Liberazione”, la cui presentazione è stata introdotta da Angela Raimondi, che – riferendosi all’autore- ha subito precisato: “Renato non vuole essere presentato come un grande personaggio, invece credo proprio che lo sia…”. L’artista ha cominciato ad occuparsi di teatro a soli diciassette anni, apprendendo e confrontandosi con diverse tecniche (dal cabaret fatto di mimo fino al teatro di figura) anche a livello internazionale. E’ tra i fondatori del Kismet, nato come teatro “essenziale” nei costumi e nelle scenografie (ad esempio, ha spiegato l’attore, per rappresentare un re basta una corona) e per questo realizzabile dappertutto, anche per strada. Suo maestro d’arte è stato Hugo Suàrez, da cui ha appreso la pantomima classica, che Curci ha cominciato a praticare, quando viveva in Austria, quasi per necessità: non conoscendo la lingua del posto, diveniva infatti difficile per lui inserirsi presso teatri “stabili”, basati su tecniche verbali. E’ cominciata così la sua esperienza di “teatro di strada”, divenuta poi la svolta più importante della sua vita. Alla base dell’insegnamento di Hugo Suàrez, la tecnica dei “titeres corporales”: uno stretto rapporto tra corpo umano (o parti di esso) ed oggetti o burattini (“titeres”) che dà vita a fantastici personaggi, i quali “prendono in prestito” dall’attore voce e movimenti. Così nasce “Guercito”: dalle mani del mimo “assemblate” ad un occhio di plastica e ad un naso di gomma; oppure dallo stesso naso di gomma assemblato ad una scarpa, a cui Renato “insegna” a sillabare fino a farle pronunciare l’intera frase “mi mamà me ama” (ossia “la mia mamma mi ama” in lingua spagnola, fedelmente all’insegnamento di Suàrez), prestando appunto la propria voce. Questi piccoli, fantastici personaggi -presentati al pubblico affascinato e divertito di Palazzo Pontrelli- affiancano “Osvaldo”, un grosso e simpatico pupazzone –venuto fuori da una valigia- che “beve per dimenticare”; il quale, a sua volta, per animarsi “prende in prestito”, oltre alla voce, una mano del mimo (definito per questo “il suo braccio destro”). Il momento più significativo della vita artistica di Renato Curci comincia però nel 2003, quando Hugo Suàrez lo invita a lavorare in Perù. Lì, tra le popolazioni del Terzo Mondo, l’attore ha modo di rivalutare l’importanza delle cose semplici (“quelle che noi, nel nostro mondo “ricco”, non conosciamo più”) e l’autenticità dei rapporti umani. Paradossalmente, proprio tra quelle popolazioni povere il teatro è maggiormente sentito ed utilizzato per permettere ad ognuno di esprimere se stesso, restituendo alla gente voglia di vivere e gioia nella quotidianità. E’ in Perù, infatti, che Renato mette in scena gravi problemi familiari e sociali, ironizzando e cercandone, teatralmente, la soluzione. Ad esempio, in una tragicomica scena di violenza familiare, l’uomo che schiaffeggia la moglie viene improvvisamente privato delle mani (che in realtà si scoprono poi appartenere alla donna nascosta dietro di lui, in una significativa metafora), fino a farlo piangere e pentire del suo gesto. Solo allora, infatti, la donna gli “riconcede” le (proprie) mani, che questa volta vengono (da lui) usate per accarezzarla… Simpatiche rappresentazioni che dunque racchiudono un messaggio: “non a caso” -ha affermato l’attore- “il lavoro dei comici è imparentato con quello dei medici: entrambi curano (o dovrebbero curare) le anime, ridando alla gente benessere e gioia di vivere…”. Sulla scorta di tali esperienze, “Teatro di Liberazione” (Edizioni La Meridiana) è un manuale che insegna come fare liberamente teatro di strada. “Questo lavoro” –ha precisato il mimo- “è bello farlo nel luogo in cui si vive, per entrare nella quotidianità delle persone e creare così un processo rivoluzionario per cambiare le cose…Invero, non è andando contro gli altri che si fa rivoluzione, quanto piuttosto andando loro incontro”… Infatti –come ha aggiunto- pur potendo il suo manuale servire a chi intenda anche singolarmente imparare queste splendide tecniche teatrali, è preferibile mantenere sempre una relazione col prossimo: “non esiste il genio creativo che, da solo, fa l’opera d’arte, ma c’è sempre bisogno degli altri per creare cose nuove”.
Una bella lezione, dunque, oltre che di teatro, anche di vita! |