Le Chiese : San Giuseppe Moscati

Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio

di don Salvatore De Pascale
Il 16 Ottobre della Liturgia Romana e il 15 delle strade romane

Da molti Cristo ancora oggi è visto come il primo rivoluzionario della storia, impropriamente è ritenuto l’antesignano, il pioniere delle moderne insurrezioni civili. Ritengo che sia illuminante la pagina del Vangelo ascoltata domenica scorsa nelle chiese (Matteo 22,15-21) per tentare di cogliere come il Suo messaggio superi enormemente qualsivoglia accostamento o paragoni.

Il Vangelo del 16 Ottobre scorso poneva un quesito rivolto a Cristo da parte dei farisei, un quesito drammaticamente attuale anche per le nostre coscienze: “E’ lecito o no pagare il tributo a Cesare?”, alias “è giusto pagare le tasse?”. Ad essi Cristo risponde con il famoso aforisma: “Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”.

I fatti di Sabato scorso a Roma, 15 Ottobre, primi vespri della Domenica, si sono intrecciati per puro ‘caso’ con le parole di Cristo. Quello che è avvenuto a Roma è inimmaginabile in uno stato di diritto, di cultura e di fede cristiana come l’Italia.

Queste due pagine, quella liturgica e quella drammatica delle strade romane, così distanti ma così vicine allo stesso tempo, mi hanno spinto a scrivere queste righe. Una sorta di quinto evangelo, quello della storia, che si è consumato in piazza San Giovanni in Laterano, che dobbiamo saper leggere, commentare, interpretare proprio alla luce della sapiente riposta di Cristo ai farisei.

Innanzitutto Gesù c’insegna a non rispondere mai direttamente alle domande specie se tendenziose. Lascia che sia l’interlocutore stesso a darsi una risposta. Al quesito: “è lecito pagare il tributo?” invita i farisei a guardare alla moneta e all’iscrizione impressa su di essa. Ed essi vi trovano la risposta: “Cesare”.

Ora noi tutti sappiamo chi fosse Cesare, potente imperatore romano, e lo sapeva altresì anche lo stesso Cristo. Sapeva bene che un suo governatore fidato, un certo Ponzio Pilato, sarebbe stato il suo carnefice. Cristo avrebbe potuto glissare alla domanda tendenziosa in modo aulico facendo riferimento alla legge antica: “Cosa vi trovi scritto: Non avrai al Dio al di fuori di me, non ti fare idolo alcuno”. I farisei, sapienti esperti delle Scritture, nulla avrebbero potuto obiettare a tale sapienza. Ma Cristo ha voluto prendere posizione, non si è tirato indietro. Ha scelto la trincea, il campo duro e delicato della politica dei suoi tempi, nelle vene della sua storia. Ha scelto il confronto, e ha risposto profeticamente: “Date a Cesare quello che è di Cesare”.

E’ un appello oggi anche per noi, profondamente attuale. Oggi in un momento di grande disimpegno sociale, di sfiducia in ogni forma istituzionale, dalla famiglia alla politica, dai garanti della giustizia ai rappresentanti della chiesa. Oggi a noi Cristo dice:”Date a Cesare”.

L’invito è esplicito. L’evasione fiscale, una morale fai da te, il diniego dei valori, il sovvertimento dei principi fondamentali della nostra Italia per i quali hanno lottato i nostri progenitori, il diritto al voto, sono solo alcuni esempi che racchiudono il suo appello ‘date a Cesare’.

Cristo c’insegna che gli adempimenti ai doveri della legge, al rispetto della carta costituzionale, che spettano ad ogni buon cittadino, vanno al di là dell’autorità stessa che ne dovrebbe essere garante e che non deve mai abusare del suo potere. Tali doveri non li si possono barattare e svendere per nessuna ragione.

Se anche il nostro mondo fosse governato da novelli Giulio Cesare, non per questo saremmo autorizzati a fare del libertinaggio la nostra nuova legge di vita o della violenza l’arma di rivendicazione dei nostri diritti. Soprattutto quest’ultima non ha mai prodotto alcun risultato se non quello della morte della democrazia. Essa, la violenza, va condannata sempre e comunque. Troppo spesso oggi è giustificata dai potentati di turno (pensiamo alla strumentalizzazione della teoria sulla guerra giusta). Il risultato è una visione schizofrenica della vita in cui una volta si è carnefici e un’altra volta vittime della stessa violenza professata.

Gandhi l’uomo che iniziò col cambiare se stesso perché voleva cambiare il mondo, il profeta della non violenza attiva, della disobbedienza civile, quanto avrebbe ancora da insegnare al nostro mondo.

Io non so spiegarmi il perché di tanta violenza da parte dei black bloc, non so quale sia la mente organizzativa che c’è dietro di loro, perché ovviamente deve pur esserci qualcuno dietro una macchina bellica di simile portata. Non riesco tanto meno a capire il loro intento, se magari ce ne fosse almeno uno plausibile.

So invece che in quel maledetto vespro il cui il rapporto tra guerriglieri e non violenti è stato 1 a 100, non ha vinto la violenza.

Si, secondo me la violenza è stata sconfitta.

E’ stata sconfitta dall’impegno di giovani uomini che stanno in trincea (non nelle stanze dei bottoni) e che si guadagnano faticosamente il pane quotidiano da portare alle proprie case. E’ stata sconfitta dalla folla di non violenti, tanto simile agli indù di Ghandi, che ha delegittimato, denunciato ed emarginato i facinorosi.

Al quinto potere, alle forze mass mediatiche vorrei fare un appello se mi fosse consentito:

“Per favore non consentite alla violenza di vincere sugli schermi televisivi.

Non ci propinate sempre e solo il suo volto nefasto.

Non nutrite la parte più bieca della nostra psiche, non alimentate il vampiro che è in noi.

Per favore parlateci del duro lavoro sottopagato delle nostre amate forze dell’ordine,

parlateci dei sogni infranti di tanti giovani,

parlateci dei diversamente abili e della gioia sui volti dei bambini,

presenti a Roma in quel vespro.

Parlateci di democrazia, di cittadinanza attiva, di partecipazione.

Voi media avete il dovere di informare non di deformare le coscienze”.

Non possiamo non denunciare con fermezza tutto questo perché dobbiamo difendere il futuro dei nostri figli.

E’ proprio vero che“fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce”, ma non possiamo desistere, non possiamo smettere di piantare alberi, di impegnarci in prima persona.

“L’assenteismo sociale è un peccato di omissione”, ha affermato in questi giorni il card. Bagnasco, e allora figli della luce, credenti in Cristo, costruiamo la pace.

La pace richiede lotta, sofferenza, tenacia.
Esige alti costi di incomprensione e di sacrificio.
Rifiuta la tentazione del godimento.
Non tollera atteggiamenti sedentari.
Sì, la pace prima che traguardo, e' cammino. E, per giunta, cammino in salita”.

(don Tonino Bello)

“Beati voi operatori di pace perché sarete chiamati figli di Dio”.

E allora, in piedi! Avremo dato a Dio quello che è di Dio, il suo mondo, il suo Paradiso, se saremo costruttori di pace.

Triggiano 17 Ottobre 2011

don Salvatore De Pascale, parroco

San Giuseppe Moscati - Triggiano (Bari) -

18/10/2011

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